Il maestro nella Scuola dell’Infanzia

Non esistono giochi maschili e femminili!

Il termine scuola nella lingua italiana è di genere femminile, la parola infanzia è anch’essa di genere femminile e la prevalenza di docenti donne riguarda ogni ordine e grado, ma è massima la percentuale nella scuola dell’infanzia tanto che in Europa le maestre sono il 97% e nella nostra Penisola il 99%, quindi come maestro faccio parte di quell’uno percento (1%). Anche se non vi sono evidenze scientifiche per un confronto statisticamente valido, si ipotizza una relazione tra mancanza di modelli di ruolo maschili nelle scuole e una ricaduta sulle performance dei ragazzi. Infatti, ciò che preoccupa gli esperti dell’educazione è che l’assenza di insegnanti di genere maschile rafforzi e perpetui gli stereotipi sulle donne e sugli uomini, perciò gli studenti e le studentesse apprendono implicitamente attraverso l’esperienza che le donne siano più idonee alla cura e i maschi finiscano per non prendere in considerazione la professione di insegnante.
Una tale situazione inevitabilmente comporta il rischio di un certo disequilibrio sul piano educativo e così la scuola al “femminile” rischia di porre delle criticità da non sottovalutare; si finisce così nel considerare il “maschile” come inadatto e inadeguato a tali mansioni. Sopratutto nella scuola dell’infanzia, spesso i bambini hanno bisogno di avere un certo equilibrio tra figure femminili e maschili poiché il principio di maschile e femminile appartengono a ognuno di noi e non sono legati certamente al genere, in questo frangente voglio ricordare C.G. Jung che nella sua “Psicologia Analitica” parlava di Animus e Anima come archetipi: ogni bambino interiorizza l’esperienza della sua Anima grazie alla madre e l’esperienza del suo Animus dal padre: sono queste immagini, che a loro volta contengono le immagini dei padri e delle madri, a guidarci nella vita.
Un buon bilanciamento tra il maschile e il femminile aiuterà non solo il bambino ma anche il suo senso di unità, lo sviluppo dell’identità, la propria autostima e non ultima l’apertura all’altro e quindi le relazioni interpersonali.

Pubblicato da Michele Cirelli

Psicologo, PhD & Docente di Scuola dell'Infanzia